Approfondimenti4/8/2023
Intelligenza Artificiale: senza limiti, non c'è vera creatività
L’Intelligenza Artificiale può essere creativa. Può supportare il pensiero divergente creando associazioni fra concetti distanti (anche in forme diverse - audio, video, testi) e ricavando delle idee inedite da queste associazioni, come ben argomentato nell’ultimo numero di Harvard Business Review Italia. In effetti, all’interno di aziende di innovazione digitale come quella in cui lavoro, l’A.I. ha svariate possibilità di applicazione nei processi creativi di co-design.
Chat GPT può aiutare a generare possibili User personas, User Journeys, User Story Map, etc a partire da input o contesti dati; Midjourney può accelerare il processo di prototipazione, creando rapidamente prototipi visivi; Miro recentemente ha introdotto la possibilità di clusterizzare automaticamente i post it in base a parole chiave o al mood, aiutando a velocizzare i brainstorming strutturati.
Ma, come dice Alessandro D’Avenia, l'Intelligenza Artificiale non potrà mai produrre capolavori. È davvero così?
Una caratteristica dell’essere umano nei processi creativi è il continuo avvicendamento di pensiero e creazione. Scrivere, dipingere, suonare ci aiutano a pensare. Ce ne accorgiamo pensando alla nostra esperienza individuale, se scriviamo un diario per riflettere su noi stessi, quando disegniamo schemi sui fogli per spiegare meglio i concetti. Creando, mettiamo in comunicazione il nostro pensiero con il mondo e lo arricchiamo continuativamente grazie ai feedback che otteniamo dagli altri, migliorando di conseguenza anche le nostre creazioni. È proprio questo tra l’altro che preoccupa molti docenti che ancora limitano l’utilizzo di Chat GPT a scuola: delegando lo sforzo operativo di creazione a Chat GPT, rischiamo di diventare non più capaci di pensare. Ho letto un post di Harold Jarche, “Scrivo quindi Penso”, che raccoglie diversi stimoli interessanti su questo punto.
Tuttavia non è questo avvicendamento tra pensiero e creazione il vero segreto per scrivere capolavori. Anche l’Intelligenza Artificiale generativa pensa: il processo che avviene attraverso le reti neurali che crea correlazioni basate sulla probabilità è in effetti una forma di pensiero, tutto sommato simile al nostro. E anche per l’A.I., scrivere aiuta a pensare: tramite l’output creato, l’Intelligenza Artificiale recupera feedback e migliora i propri modelli di interpretazione, imparando a pensare meglio.
Per produrre capolavori, non basta creare in modo originale, non basta neanche sapere pensare: bisogna sentire, creare un legame tra cervello e stomaco, tra informazioni e significato. E il sentire dipende dalla stretta relazione tra pensiero e corpo che caratterizza la nostra esistenza umana. Pensiero deriva dal latino “pensum”, il peso della lana grezza da trasformare in filato. Qualcosa da trattare. Proprio da questa concretezza manuale viene il verbo pensare. Secondo Cartesio, il pensiero è la caratteristica sufficiente per dimostrare l’esistenza umana. Questa teoria è stata criticata nel tempo, in particolare recentemente dal neurologo Antonio Damasio nel libro “L'errore di Cartesio: Emozione, ragione e cervello umano”: l’esistenza non può prescindere dal corpo. Dal sentire se stessi come esseri corporei. Dalle gioie e dai dolori fisici che rimarcano le nostre azioni e le nostre decisioni nel mondo e in ultimo rafforzano la nostra identità.
Ma che cosa davvero rende questo contributo del corpo così unico e differenziale per la nostra capacità creativa? Il corpo di per sé è limitato. È pieno di difetti. Ci porta a fare errori. L’errore fa soffrire l’uomo, l’errore non è accettato dall’uomo, ma, alla fine, diventa il motore del suo agire, il motivo del suo cercare. Errare in questo mondo porta a errare per il mondo. Ci affascina la sofferenza legata alla continua ricerca del bene e del bello, mai del tutto appagata. Giorno dopo giorno ci confrontiamo con scelte che non hanno una alternativa migliore e una peggiore, e siamo costretti a fare i conti con la nostra libertà, meravigliandoci ogni volta. Nella cultura cristiana, ma anche in tante altre, è Dio stesso che sceglie di limitarsi, incarnandosi. Il creatore (e creativo) per eccellenza ricerca il limite. Ed è il senso del limite, non pensato astrattamente, ma vissuto all’interno del nostro corpo, che può creare capolavori.
È questa mancanza di limiti che riduce la creatività dell’A.I.. L’algoritmo che trova sempre la soluzione ottima non sarà mai realmente creativo. Certo, non passerà troppo tempo prima che l’intelligenza artificiale riesca a superarci nella capacità di analisi e ragionamento. La gran parte delle attuali attività lavorative e produttive potranno essere svolte dall’I.A. meglio di come le facciamo noi. È molto probabile che arriverà un momento in cui l’intelligenza artificiale sarà così avanzata da poter migliorare se stessa in modo esponenziale, portando a un rapido aumento della propria capacità, al di là di ciò che noi esseri umani potremo comprendere o controllare. Ma sarà forse proprio in quel momento che l’intelligenza artificiale, come uno Zeus innamorato, invidierà la nostra umanità limitata e imperfetta.